Il fico d’india, pianta emblema o, se volete, stereotipo della Sicilia da cartolina, è tra le specie vegetali più resistenti agli stenti delle lunghe estati meridionali ed è per questo che è largamente usata, in Sicilia sia come pianta da frutto che come specie ornamentale capace di valorizzare gli angoli più inospitali dei nostri giardini. Opuntia ficus indica, questo è il suo nome botanico, pur caratterizzando in modo inconfondibile il paesaggio siciliano è, tuttavia, specie di origine incerta. La sua notevole diffusione sugli altipiani del Messico e su tutto il versante occidentale della Cordigliera delle Ande farebbe supporre un'origine sudamericana della specie e di conseguenza, una sua introduzione in Europa ad opera degli spagnoli; questa ipotesi, tuttavia, contrasta con la documentata presenza del fico d'india in aree desertiche dell'Asia e dell'Africa del Nord in epoche antecedenti la scoperta dell’America. Il nome del genere Opuntia, ad esempio, sembrerebbe derivare dal nome dell'antica città greca di Oponzio od Oponte, presso la quale il fico d'india era coltivato. Quel che è certo, indipendentemente dall'origine, è che il fico d'india si è rapidamente diffuso in aree geografiche caratterizzate da siccità e da condizioni pedologiche proibitive per molte specie vegetali. La specie è, infatti, una succulenta capace di una lunga autonomia idrica essendo dotata di organi carnosi in grado di imbibirsi d'acqua e di robuste radici atte a disgregare la roccia più resistente alla ricerca di umidità nel terreno. Il suo habitat ideale è l'ambiente desertico, arido e pietroso, caratterizzato da piogge rare e temperature mai al di sotto dello zero. Non stupisce, pertanto, la sua notevole diffusione nei paesi del Bacino del Mediterraneo dove la specie si è così ben inserita da apparire come un elemento tipico del paesaggio vegetale. Da un punto di vista botanico il fico d'india è una dicotiledone appartenente al genere Opuntia che è il più vasto e diffuso della famiglia delle
Cactacee.
La pianta adulta ha, di norma, portamento cespuglioso e, in alcuni esemplari, arborescente ed è formata da un insieme di articolazioni carnose dette botanicamente cladodi che costituiscono le cosiddette pale del fico d'india. Le pale sono i rami della pianta divenuti verdi per svolgere attività fotosintetica, capaci di accumulare, nel tessuto fibroso, notevoli riserve idriche. Nel passato le pale costituivano un diffuso alimento per il bestiame e spesso, in estate, venivano disposte intorno al tronco di specie arboree di pregio come riserva idrica d'emergenza. Le vere foglie della pianta sono di forma uncinata, poco visibili e disposte alla base delle gemme che ricoprono la superficie delle pale. Dopo circa un mese dalla loro comparsa diventano gialle e cadono, lasciando sporgere gli aculei posti a difesa delle gemme.
I fiori sono ermafroditi e vengono portati in prevalenza sulle pale di un anno. Sono molto vistosi e hanno petali di colore giallo zolfo, cangiante al rosso prima della sfioritura. Il frutto è una bacca zuccherina a polpa succosa, ricca di vitamine e piena di piccoli e durissimi semi. La buccia è cosparsa, come le pale, di piccoli noduli coronati da spine ed ha colore variabile dal rosso al giallo paglierino. E' proprio grazie alla bontà dei frutti e alla facilità di conseguire buone produzioni con poche cure colturali che questa specie si è diffusa come coltura agraria in molte aree marginali del Mediterraneo.
In Sicilia, per esempio, i frutti del fico d'india, freschi o più spesso trasformati in mostarda o in sciroppo, hanno costituito per intere generazioni di contadini un alimento abituale tanto che, oltre un secolo fa, si parlava del fico d'india come del pane dei poveri; dai frutti, mediante fermentazione alcolica del Saccaromices opuntiae, si otteneva la produzione di alcool e dalla pressatura dei semi si ricavava un olio commestibile. Sulle pale, poi, si praticava l'allevamento di un insetto, il Dactylopius coccus dal quale si estraeva l'acido carminico, detto commercialmente "rosso di cocciniglia", utilizzato come colorante. Se, in passato, venivano raccolti prevalentemente i frutti prodotti su piante spontanee, oggi la coltivazione del fico d'india viene svolta in impianti specializzati ubicati in regioni vocate come Sicilia, Calabria, Sardegna e Puglia. Dal mercato sono praticamente scomparsi i frutti estivi che vengono consumati prevalentemente a livello locale; la produzione di miglior valore commerciale è quella autunnale ottenuta con una particolare tecnica di potatura verde detta " scozzolatura ". Il fico d'india, infatti, se privato, in giugno, di tutti i fiori e delle giovani pale emesse all'inizio della primavera ha la prerogativa di rifiorire a distanza di circa un mese dall'intervento. La nuova fioritura porta a maturazione frutti tardivi ( bastardoni) che presentano caratteri organolettici di pregio. Infatti, mentre i frutti che derivano dalla fioritura ordinaria maturano ad agosto e, avendo compiuto il ciclo produttivo nel periodo di maggiore siccità sono generalmente piccoli, a polpa scarsa e piena di semi, i frutti scozzolati maturano normalmente nel periodo delle piogge, dalla fine di settembre sino a Natale, e sono perciò più ricchi di polpa, più voluminosi, coloriti e profumati. Tra le varietà siciliane più diffuse: la Surfarina, a polpa croccante di colore giallo zolfo, la Sanguigna a frutto rosso e la Bianca. Esistono anche la varietà inermis, senza spine, ed una varietà senza semi, ma ambedue hanno riscosso scarso successo per il frutto di qualità non eccelse.
Mi sono persa qualcosa...non ho mai assaggiato il frutto del fico d'India...Ciao Marcella!
RispondiEliminaProvare per credere! E mi raccomando, manda giù tutto il frutto, polpa e semi compresi; non provarti nemmeno a sputare i semi del fico d'india che per noi siciliani è disdicevole.
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