venerdì 15 marzo 2013

Anigozanthos, ma come sono strane queste australiane!

C’è una regione dell’Australia ed in particolare la parte sud occidentale della regione nota come Western Australia, dove si riscontrano, similmente a quanto avviene in altri regioni del mondo come il Cile, Sud Africa e California, condizioni climatiche molto simili a quelle che si ritrovano nel bacino del Mediterraneo dove il clima è caratterizzato da un’alternanza tra estati calde ed asciutte ed inverni umidi miti o freddi. 
In questa remota regione del mondo circa l’80% delle specie vegetali indigene è esclusiva del luogo e non si ritrova in nessun altra parte del globo come ad esempio molti generi delle famiglie delle Myrtaceae e Proteaceae (Chamelaucium, Eucalyptus, Banksia, Grevillea) o ancora i generi Boronia, Chorizema, Hakea, Kennedia, Melaleuca. Le australiane sono specie rustiche, abituate ad un periodo di forte siccità e capaci di vivere su terreni sabbiosi e molto poveri di elementi nutritivi; nella maggior parte dei casi, presentano adattamenti biologici del tutto particolari per attuare la fecondazione dei fiori che, in un ambiente così primordiale, è affidata agli uccelli piuttosto che agli insetti ed è governata dal fuoco degli incendi. Colori sgargianti e variabilissimi che vanno dal verdastro al giallo arancio, al rosso o al marrone con strutture fiorali a ciuffo o a pigna tra i più originali del mondo vegetale.
 
Questa regione australiana rappresenta, perciò, un vero “El Dorado” per l’acquisizione di novità botaniche da commercializzare sul mercato europeo, sia come specie da giardino che, più frequentemente, come specie da vaso, anche in virtù del periodo di fioritura che, essendo invernale si realizza quando la maggior parte delle specie mediterranee sono in riposo vegetativo.
Ed è per questo che qualche giorno fa, a caccia di colore, ho comprato una piantina in vaso di Anigozanthos, un genere della famiglia delle Haemodoraceae, chiamato comunemente “zampe di canguro, kangaroo paws” per la forma insolita delle corolle dei fiori, disposte come piccole, molteplici dita aliene dagli sgargianti colori rosso, arancione, giallo o talvolta bicolori, all’estremità di steli fiorali nudi di foglie.
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Questi fiori hanno un aspetto singolare essendo ricoperti da una fitta peluria colorata simile ad un manicotto che ricopre la corolla tubolare, aperta su un lato per fare uscire gli stami sporgenti e talvolta ricurvi; il colore d’insieme è acceso e vellutato.
La pianta si sviluppa da brevi rizomi sotterranei capaci di rigenerare la parte vegetativa morta in seguito a forte siccità o incendio; la parte aerea è costituita da una rosetta di lunghe e strette foglie di colore grigio verde dal cui centro si dipartono steli nudi; in cima portano un racemo di fiori colorati capaci di attirare uccelli, incaricati dell’impollinazione, ai quali i fiori fanno da trespolo. Alcune specie di taglia più grande (Anigozanthos manglesii) sono comunemente utilizzate nei giardini australiani per realizzare bordure o angoli scenografici; per il mercato europeo invece sono stati selezionati degli ibridi di Anigozanthos flavidus, Anigozanthos rufus, Anigozanthos pulcherrimus, a taglia bassa e compatta, adatti alla coltivazione in vaso e la cui propagazione avviene per via meristematica riuscendo in tal modo ad ottenere una produzione standardizzata. La mia pianta di Anigozanthos, così simile ad una manina grattaschiena, appena comprata aveva i fiori di un vivido, allegro, colore rosso aranciato che, tuttavia, in casa in una decina di giorni si è un poco sbiadito; delusa la sbatto in balcone, in un angolo luminoso e riparato dal vento e con mia grande soddisfazione i colori sono ritornati vividi. Seguo le indicazioni trovate sul web di mantenere umido il terriccio e per il resto cerco di non affezionarmi troppo. Tutti dicono che la specie, in vaso, ha vita breve perché con l’arrivo della stagione calda la parte aerea tenderà a seccare per produrre, forse, una nuova vegetazione in autunno; ma ritengo che chiedere una seconda fioritura ad una pianta  coltivata in vaso e perdipiù così distante dai "suoi canguri", sia decisamente troppo anche per una rustica specie australiana.
 

2 commenti:

  1. Ciao Marcella, splendido articolo come sempre, ma l'Ani-coso porprio non lo digerisco. Ho tentato di farmelo piacere in mole salse, ma non ci riesco. Con buona pace di Lloyd io la trovo una pianta davvero bruttazzola.
    C'è poi chi riesce ad utilizzarla molto bene in giardini esotici, in hot border, o in maniera anticonvenzionale. Io ammiro la bravura di chi ci riesce, ma seppur ormai anche nella misera Siderno questa pianta sia non una novità, mi guardo dal guardarla nei vari mercatini. Come suggerisce il suo nome comune, sembra proprio un gallo morto messo a testa sotto e sepolto a metà sotto terra. Le piante un po' zoomorfiche suscitano sempre un po' di inquietudine.

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    1. Cara Lidia sei insuperabile! La descrizione dell’Ani-coso come di un gallo morto messo a testa sotto e sepolto a metà sottoterra è esilarante nonché assolutamente veritiera.

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