Quando ero bambina abitavo ad Enna, una piccola cittadina siciliana che, per clima, è agli antipodi degli standard siciliani. Posta a mille metri d’altezza (Enna è il capoluogo di provincia più alto d’Italia), ha l’inverno molto freddo ed umido per la costante nebbia dovuta ad un curioso fenomeno di attrazione che il cocuzzolo montuoso esercita su ogni nuvola che si trova a passare all’interno dell’isola; nel complesso, dunque, l’inverno ennese non aveva e penso anche oggi non ha, nulla da invidiare al clima della mitica “Padania”. Di uscire si usciva a fare quattro passi serali ma di ritorno a casa dovevo asciugare i capelli con il phon; vestivo con un certo montone sotto al cui peso piegavo le spalle e stavo sempre un poco “arrunchiata”, rattrappita, per ridurre la sensazione di freddo. Così come succede in quelle valli alpine quando finito l’inverno si attende con trepidazione il riaffacciarsi del sole, anche noi, in famiglia, si attendeva un cenno che ci facesse intendere che il peggio climatico era passato. Ed il cenno arrivava, quando in marzo, annunciate da sciami di moscerini che si materializzano al primo sole, arrivavano finalmente le rondini; rondoni e balestrucci che avevano svernato in Africa tornavano a nidificare nel posto dove erano nati mettendosi subito al lavoro per preparare nuovi nidi o riparare quelli vecchi sotto i ballatoi, se balestrucci e tra le tegole, se rondini dalle lunghe ali.
lunedì 18 marzo 2013
Rondinelle
Quando ero bambina abitavo ad Enna, una piccola cittadina siciliana che, per clima, è agli antipodi degli standard siciliani. Posta a mille metri d’altezza (Enna è il capoluogo di provincia più alto d’Italia), ha l’inverno molto freddo ed umido per la costante nebbia dovuta ad un curioso fenomeno di attrazione che il cocuzzolo montuoso esercita su ogni nuvola che si trova a passare all’interno dell’isola; nel complesso, dunque, l’inverno ennese non aveva e penso anche oggi non ha, nulla da invidiare al clima della mitica “Padania”. Di uscire si usciva a fare quattro passi serali ma di ritorno a casa dovevo asciugare i capelli con il phon; vestivo con un certo montone sotto al cui peso piegavo le spalle e stavo sempre un poco “arrunchiata”, rattrappita, per ridurre la sensazione di freddo. Così come succede in quelle valli alpine quando finito l’inverno si attende con trepidazione il riaffacciarsi del sole, anche noi, in famiglia, si attendeva un cenno che ci facesse intendere che il peggio climatico era passato. Ed il cenno arrivava, quando in marzo, annunciate da sciami di moscerini che si materializzano al primo sole, arrivavano finalmente le rondini; rondoni e balestrucci che avevano svernato in Africa tornavano a nidificare nel posto dove erano nati mettendosi subito al lavoro per preparare nuovi nidi o riparare quelli vecchi sotto i ballatoi, se balestrucci e tra le tegole, se rondini dalle lunghe ali.
Meraviglioso questo frammento di passato monastico; dietro la semplicità quasi "fanciullesca" del gesto c'è tutta la saggezza di come si scandivano i lavori nell'orto e nel convento...
RispondiEliminaEmozionante...
Complimenti come sempre
Stefano
Grazie Stefano, sono contenta di avere trovato un altro "fanciullino" che come me si emoziona ricordando il passato.
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