domenica 22 novembre 2015

Il giardino di Villa Malfitano a Palermo

Per riuscire ad immaginare lo splendore ed il fascino che Palermo doveva esercitare alla fine dell’Ottocento sulla blasonata nobiltà europea, che si compiaceva di frequentare le eleganti dimore della borghesia cittadina, attirata dal clima, dalla vegetazione e da quell’irresistibile mix di fascino, originalità e sfarzo che allora caratterizzava l’alta società palermitana, occorre visitare Villa Malfitano ed il suo grande, esotico, giardino.
La villa fu la residenza cittadina di Joseph Isac Spadafora Whitaker (chiamato familiarmente Pip), uno dei pronipoti di Benjamin Ingham  che nel 1812  si era trasferito a Palermo dal West Yorkshire per commerciare  vino marsala;  con l’ istituzione della florida Casa di Commercio Ingham e C. ed una società di navigazione  la famiglia divenne presto ricca ed influente  riuscendo ad intrecciare rapporti di parentela ed affari  con molte famiglie inglesi residenti in Sicilia e  stabilendo rapporti di grande amicizia con la nobiltà palermitana.
Giuseppe, oltre che seguire gli affari di famiglia, amava coltivare molteplici interessi come ad esempio la caccia che lo spingeva a viaggiare e che gli consentì di  fare studi ornitologici e mettere insieme una imponente collezione  formata da oltre 10000 uccelli imbalsamati che teneva in una casina nel parco; l’archeologia che esercitava sull’ isola di Mozia, acquistata ai primi del 900 da diversi possidenti e ricca di tesori fenicio-punici da lui scoperti; la botanica con la ricerca di specie esotiche mai coltivate in Sicilia da acclimatare in ambiente mediterraneo, in continua competizione e scambio con l’Orto Botanico di Palermo diretto, allora, da Vincenzo Tineo .
Yucca australis
Per edificare la sua residenza cittadina, Joseph Whitaker nel 1885 acquisterà una vasta estensione di terreno al piano di Malfitano nel quartiere dell’Olivuzza e vi farà costruire dall’ architetto Ignazio Greco, sul modello della Villa Favard di Firenze, una residenza in stile neo-rinascimentale addolcita nelle linee da verande e orangerie in stile Art Nouveau.

 
La casa che è stata abitata sino agli anni 70 dalla figlia minore Delia mantiene ancora oggi intatto tutto il suo fascino: costruita su tre elevazioni conserva gli arredi originali, dipinti di pregio, arazzi e testimonianze fotografiche delle numerose teste coronate ospiti alla villa.
Le stanze del piano di rappresentanza, arredate ognuna con uno stile diverso mantengono ancora oggi gli echi e le suggestioni dell’intensa vita mondana e culturale che ha caratterizzato la casa grazie al carisma e all’influenza della moglie di Giuseppe Whitaker, Tina Scalia, donna molto affascinante e dal carattere forte, considerata una delle persone più di tendenza nel periodo d’oro della bella époque palermitana di fine Ottocento.
Tra le stanze più belle ed ammirate, la famosa Stanza d’estate che si affaccia sull’ampio giardino, le cui pareti decorate da Ettore De Maria Bengler con la tecnica del trompe-l'oeil rimandano, attraverso le grandi vetrate, alla lussureggiante vegetazione tropicale del parco che circonda la casa.
 
La proprietà, in origine estesa oltre otto ettari, mescolava visuali romantiche con aspetti tipici della paesaggistica inglese ed era un vero parco botanico per varietà e rarità delle specie tropicali e sub tropicali in esso collezionate da Whitaker, sotto la guida del direttore, il botanico Emilio Kunzmann di origini tedesche che aveva già curato l' organizzazione esterna e l' impianto formale di altri grandi giardini della famiglia; a Villa Malfitano, Kunzmann che era a capo di una squadra di 12 giardinieri, farà realizzare una serra per la coltivazione di oltre 150 specie di orchidee esotiche che saranno per lungo tempo il vanto del giardino.
Tra gli esemplari più spettacolari del parco che annovera ancora oggi circa 250 specie in coltivazione, vi sono gli enormi Ficus macrophylla subsp. columnaris  presenti a ridosso della villa; spettacolare l’esemplare più vicino alla casa, piantato da Pip nel 1888  i cui lunghi rami serpeggiano paralleli al suolo; al funerale di Delia il carro funebre sostò, sotto la grande chioma del ficus di casa, come espressamente richiesto nelle sue ultime volontà.
Nel parco si trovano poi, grandi esemplari di Dracena draco, molte araucaria australiane tra cui  un raro esemplare di Araucaria rulei ed una gigantesca Yucca australis che accoglie i visitatori dall’ingresso di via Dante; è stato questo probabilmente il primo esemplare della specie introdotta in Europa in coltivazione insieme ad un secondo esemplare presente in un altro giardino dei Whitaker; si incontrano ancora esemplari monumentali di Nolina recurvata, Cycas revoluta , numerose specie di palme,  molte purtroppo morte a causa del punteruolo ed interi boschetti di Strelitzia alba.
Il parco negli angoli più discosti dalla casa ha un aspetto inselvatichito ed un poco trascurato soprattutto ai confini della proprietà ma ciò è evidentemente conseguenza dei notevoli  costi di manutenzione che un parco così vasto, al giorno d'oggi, comporta. Dal 1975 il parco e la Villa sono gestite della Fondazione Giuseppe Whitaker voluta da Delia  per onorare la memoria del padre con l’intento di promuovere iniziative volte ad incrementare le attività culturali in Sicilia, soprattutto nella valorizzazione dell’inestimabile patrimonio archeologico dell’isola di Mozia e  della casa museo di Villa Malfitano. Solo da un anno sia il giardino che la casa sono aperti al pubblico con un orario adeguato alle esigenze dei visitatori.

 Orari di visita:
 
Bibliografia
G.Pirrone, M. Buffa, E: Mauro. E. Sessa, Palermo, detto paradiso di Sicilia, Centro studi di storia e arte dei giardini, 1989
F.M. Raimondo, Il giardino di Villa Malfitano, Fondazione Giuseppe Whitaker, 1995
S. Requirez, Le ville di Palermo, Flaccovio Editore, 1996
G. Pirrone, Architettura dei giardini di Sicilia, Electa, 1994 

mercoledì 18 novembre 2015

Soluzione a: Cerca le parole

1: Ceiba; 2: Aeonium; 3: Melia; 4: Ipomea quamoclit; 5: Cyathea; 6: Bismarckia; 7: Metrosideros; 8: Coffea; 9: Musa; 10: Solandra; 11: Muscari; 12: Litchi; 13: Kivano; 14: Ruellia; 15: Calliandra tweedii; 16: Murraya
 
  Soluzione
 

venerdì 13 novembre 2015

Cerca le parole

Riconosci le specie riportate in foto e trovane  il nome nello schema sottostante



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SOLUZIONE

 

domenica 8 novembre 2015

Come fare la cotognata in cinque mosse

 
Il melo cotogno è uno degli alberi da frutto più antichi, noto e coltivato in Europa sin da tempi remoti; decantato da Plinio e Virgilio è arrivato sulle coste del Mediterraneo dall’Asia Minore sull’onda della fama delle squisitissime confetture, chiamate dai romani “cotognato”, che è possibile ottenere dai suoi frutti tannici e astringenti che non possono assolutamente essere consumati prima di essere cotti e zuccherati. 
Non è un albero che, in genere, si ritrova in coltivazioni specializzate; ne esistono, invece, frequentemente, piante sparse coltivate in modo amatoriale nelle tipiche villette da week end che punteggiano le campagne del mezzogiorno d’Italia dove i proprietari si dilettano a coltivare un campionario variegato di piante da frutto scelte a caso tra i ricordi del passato o nei cataloghi dei vivai specializzati: un fico, un azzeruolo, olive, un gelso, un sorbo, un kaki; tra tanta variabilità vegetale non può di certo  mancare un melo cotogno sia per il gusto del  collezionare che per il rispetto della tradizione che impone in autunno a chiunque ne possieda un esemplare di prepararne barattoli di marmellata o ancora meglio decine di formelle di sublime cotognata da regalare e centellinare fino al prossimo autunno.

Cydonia vulgaris o melo cotogno è specie arbustiva che si ritiene provenga dall’isola di Creta ed in particolare dall’antica città di Cidonia. E’ una pianta di lento accrescimento che presenta un aspetto cespuglioso ma che coltivata ad alberello raggiunge un’altezza di 3,4 metri. A dispetto del nome il melo cotogno ha maggiore affinità con il pero del quale è spesso portainnesto.
 
I fiori sono grandi, isolati, a cinque petali di colore rosato e compaiono tardivamente; le foglie sono tomentose e coriacee ed i frutti  che, nelle diverse varietà possono avere forma simile a mele o pere,  sono tomentosi e presentano  forma irregolare con numerose gibbosità; la polpa è dura e compatta dal gusto acido e astringente.
In autunno se ne raccolgono i frutti che devono essere necessariamente trasformati in confettura o, se non se ne ha voglia, regalati ad amici e parenti cui trasferire l’incombenza.
Anche noi abbiamo ricevuto in dono un cesto di mele cotogne e seguendo le istruzioni che le accompagnavano abbiamo preparato una buona cotognata in cinque mosse:
1
Le mele cotogne ancora intere e non sbucciate, dopo essere state strofinate con un canovaccio per togliere parte della tomentosità della buccia, vengono poste sul fuoco dentro una pentola d’acqua che viene portata ad ebollizione. La cottura procederà sino a che la polpa non diverrà tenera offrendo scarsa resistenza ai denti di una forchetta.

 
2
Dopo avere scolato le mele cotogne e averle fatte un poco  raffreddare in modo da poterle maneggiate senza scottarsi,  si procede alla pulizia dei frutti che, senza essere sbucciati, vengono  privati delle parti più dure e fatti a pezzettoni.
3
I pezzi così ottenuti vengono passati nel passaverdure per ottenerne una purea morbida
4

A questo punto si mette il composto a cuocere in una capace pentola insieme allo zucchero a cui si aggiungerà il succo di   limone. Le proporzioni sono in genere di 1:1; tanta polpa, tanto zucchero e per il limone basti sapere che per un chilo di polpa va aggiunto il succo di 3 limoni.


5
 
Il composto, continuamente rigirato viene posto sul fuoco a bollire; da questo momento in poi la cottura procederà sino al raggiungimento della consistenza desiderata. Molto morbida per fare la marmellata, più dura e tenace (5 minuti dopo il bollore) per la cotognata che una volta pronta  verrà versata in piattini o nelle tradizionali formelle.

Appena asciutta la cotognata si potrà sformare...
 
.....sperando che l'impasto abbia la giusta consistenza per staccarsi dalla formella in modo uniforme; è questa l'unica reale difficoltà di una preparazione  che anche io, ed è tutto dire, ho trovato semplice da realizzare.

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