A Milis per "Primavera in giardino" si parlerà di paesaggio agrario
La
stagione dei fiori è alle porte e già si cominciano a pregustare le precoci
avvisaglie dell’imminente primavera con
l’avvio delle prime manifestazioni del verde che, dalla seconda metà di
marzo, cominciano ad aprire i
battenti, per continuare poi su e giù
per l’Italia in una successione mozzafiato e spesso con sovrapposizione di
date, per tutti i fine settimana a venire, sino ai primi di giugno.
Tra le tante iniziative da visitare sono molti gli appassionati che aspettano l'avvio di “Primavera in giardino”, mostra mercato di piante insolite che si svolge, oramai da sedici anni a Milis in Sardegna, nei giorni del 12 e 13 marzo. E’ questa una manifestazione che viene descritta, in tutte le recensioni che ne ho letto, come di un luogo dove si può guardare, comprare o anche solo parlare di verde raro ed insolito all’insegna della socievolezza, del buon vivere, della rilassatezza ma anche della competenza delle aziende partecipanti e della passione e professionalità di chi la manifestazione organizza da tanti anni.
Leo Minniti ed Italo Vacca del vivaio “I Campi" sono stati, infatti, capaci, di programmare e far crescere un evento divenuto imperdibile per un pubblico di intenditori ed appassionati che confluiscono nella Vega di Milis,
con i suoi storici aranceti, per confrontarsi, ogni anno su una declinazione del tema di come debba essere interpretato il giardino mediterraneo in un luogo come la Sardegna dove il clima, la scarsa disponibilità idrica e il paesaggio intorno dettano regole ben precise per la sua progettazione in chiave ecosostenibile. Quest’anno
il tema conduttore dell’evento è: “Per il paesaggio agricolo della
Sardegna : un
capitale culturale ed economico come ponte verso il futuro; ed io che non sono mai stata a Milis ed anche quest’anno non avrò modo di andare, mi sono immaginata, da siciliana, un gemellaggio paesaggistico tra Milis, che è terra di agrumi sin dal XIII secolo e la Sicilia dove gli agrumi hanno rappresentato e ancora rappresentano il paesaggio agrario di riferimento.
|
Agrumi in Sicilia |
In Sicilia, il paesaggio degli agrumi è tipicamente diffuso sulle aree pianeggianti in prossimità delle zone costiere, dove è maggiore la disponibilità idrica e le condizioni climatiche sono più favorevoli, ma agrumeti si ritrovano ancora negli ambienti pianeggianti delle aree fluviali e delle fiumare, su terreni che risalgono dalla costa verso l’interno e nei più moderni impianti di notevole superficie che si estendono nella Piana di Catania, nel siracusano e nella parte centromeridionale dell’Isola, soprattutto per quanto riguarda la coltivazione dell’arancio.
I vecchi agrumeti oramai in stato di abbandono in aree terrazzate di bassa collina o i muretti a secco che delimitavano gli agrumeti dall’alveo dei fiumi, segnano ancora in modo così distintivo il paesaggio agrario da esserne divenuto nell’immaginario collettivo il paesaggio più tipico dell’isola, quello che storicamente meglio la identifica e rappresenta.
Gli agrumi sono parte integrante del paesaggio mediterraneo sin da tempi remoti ma, a parte il cedro ed il limone noti a Romani e prima ancora agli Ebrei, sono gli Arabi che, durante la loro dominazione, introducono in Sicilia dal Medio Oriente la coltivazione dell’arancio amaro.
Eccellenti maestri d’acqua, gli arabi applicarono alla coltivazione degli agrumi tecniche agronomiche adatte alla coltivazione irrigua realizzando complesse strutture utilizzate per captare e addurre acqua agli agrumeti; molti termini dialettali ancora in uso derivano da parole arabe come “favara d’acqua” sorgente impetuosa; “gebbia” (vasca per la raccolta dell’acqua); “saia” (canale dove scorre l’acqua).
|
Gebbia di origine araba |
Nonostante gli agrumi siano stati da sempre considerati piante mitiche (esperidi) da ammirare e coltivare, in realtà il loro uso principale nel passato fu quello di alberi da ornamento per i giardini di delizie accanto alla vite, ai pergolati, alle palme; gli agrumi hanno fiori molto profumati da cui si ricavava la profumata acqua di zagara; il portamento delle piante è aggraziato con il fogliame verde intenso e producono in abbondanza frutti di forma e colore gradevoli.
Frutti
belli da vedere ma non altrettanto da mangiare; sino al XVII secolo, infatti, le
sole specie presenti nell’isola erano il limone e l’arancio amaro il cui sapore aspro imponeva per il
relativo consumo l’uso dello zucchero o del miele in epoche in cui i
dolcificanti non dovevano essere particolarmente diffusi. Erano anche considerate piante medicamentose
il cui succo era utilizzato, ad esempio, "...nelle febbri contagiose e pestilenziali" (Tacuinum sanitatis in medicina, XIV secolo). Bisognerà aspettare il 1600 perché arrivi in Sicilia l’arancio
dolce introdotto probabilmente dai portoghesi, come sta a dimostrare il nome di
«portogalli» attribuito ai relativi frutti, ancora in uso in alcuni dialetti e poter parlare di consumo di arance a scopo alimentare.
Ma è solo a partire dalla metà del 1800 che gli agrumi siciliani cominciano ad assumere
un significato economico con la vendita dell’”agro “ alla marina inglese. Si cominciano
allora a spiantare le viti,
per impiantare limoni ed aranci
ed in pochi anni il reddito derivante
dalla loro coltivazione divenne tra i più elevati dell’isola. L’industria di trasformazione si ingrandì
velocemente, tanto che nel 1855 operavano in Sicilia ventiquattro fabbriche per
l’ottenimento di derivati agrumari. L’alto reddito derivante dalle coltivazioni
spinse, man mano che le terre migliori venivano occupate, a mettere a coltura terreni meno felici per
inclinazione, natura dei suoli e profondità dello strato agrario; si crearono
allora particolari strutture murarie a secco che sostenevano terrazze di
coltivazione, manufatti di singolare bellezza
strettamente legati al paesaggio e all’ambiente intorno.
In breve la Sicilia conquistò la preminenza nella produzione e nel commercio degli agrumi a livello mediterraneo, posizione che avrebbe mantenuto fino agli anni 70 del 900. Negli ultimi cinquant'anni tuttavia il mercato degli agrumi in Sicilia si è fortemente ridimensionato con conseguente forte decremento delle superfici coltivate.
Oggi i vecchi impianti tendono progressivamente a scomparire fagocitati dall’espansione urbana, con frammenti che talvolta rimangono inclusi nel territorio cittadino, come nel caso del palermitano dove gli agrumi sono presenti nel contesto di ville e parchi storici; gli antichi terrazzamenti che conservano esemplari annosi, con sesti molto irregolari, non più adatti alle lavorazioni meccanizzate, con impianti di irrigazione obsoleti, sono sempre più in abbandono, meritevoli per la loro valenza storico paesaggistica di essere sottoposti a vincoli di conservazione.
Anche la Sardegna ha una sua storia agrumicola da raccontare, basti pensare alla pompia (Citrus limon var. pompia) un particolarissimo e raro agrume che solo qui si coltiva e che, riscoperto da un gruppo di produttori, è diventato presidio Slow food o all’arancia di Muraleva o ancora alla Vega di Milis con i suoi storici aranceti.
Perché non pensare, allora, per i giardini di entrambe le isole, di ritornare a coltivare agrumi per diletto? Mandarini, limoni, aranci, cedri, pompelmi sono piante belle, profumate, utili che, se coltivate senza esasperazione produttiva, possono trovare posto in un giardino ecosostenibile in sintonia con il paesaggio agrario circostante.
Bibliografia:
Linee guida del Piano Paesistico Territoriale Regionale, 1996 Regione Siciliana, Assessorato Regionale dei Beni Culturali ed Ambientali e della Pubblica Istruzione
D. Romano, A. Continella, Gli agrumi fra storia e paesaggio, Università degli studi di Catania, Dipartimento di OrtoFloroArboricoltura e Tecnologie Alimentari