sabato 3 agosto 2019

Il verde “fai da te” nella mia città

Il caso dell’Alocasia macrorizzhos

La città in cui vivo è un luogo in perenne dissesto finanziario; qualunque sia il colore dell’amministrazione che la gestisce ci sono sempre enormi debiti pregressi, zavorra ineludibile di cattive gestioni del passato; se il Comune non riesce ad assicurare servizi essenziali come l’assistenza agli anziani e ai disabili, figurarsi se ci sono soldi per la manutenzione o peggio ancora per l’incremento e la valorizzazione delle aree a verde. 
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Succede allora che cittadini volenterosi e particolarmente motivati si sentono autorizzati a darsi da fare con il metodo  "Fai da Te",   attuando interventi autarchici di landscaping urbano. E’ questo, ad esempio quello che è successo in una piazza periferica di città, un tempo borgo esterno alle mura, deputata oggi a ritrovo di anziani, bambini e padroni di cani per la poca erba stentata, miracolosamente innaffiata da mal funzionanti irrigatori.
In un angolo della piazza, lato est, ci sono dei gazebo, luogo di ritrovo di pensionati dediti al gioco delle carte che vi rimangono sino a sera; accanto a queste aree di sosta il Comune ha realizzato quattro aiuole rettangolari nelle quali in origine erano stati messi a dimora dei cespugli di rose di varietà adatte per il verde di città. 
Purtroppo in estate non una goccia d’acqua è arrivata a bagnare le nuove piante  ed i riquadri di terra nel volgere di una sola stagione sono diventati lande desolate dove svolazzano carte, volantini e plastiche in fuga dai cassonetti posti li vicino.

Allora, per rendere meno deprimente l’area di gioco alcuni assidui frequentatori dei gazebo, si sono improvvisati giardinieri mettendo a dimora, negli spazi comunali, le piante che in casa coltivavano in vaso. 
Le aiuole si sono, così, ripopolate di piante abituali di luoghi inospitali come yucche, euforbie, agavi, pale di fico d’india, portulacarie, oleandri, in un accozzaglia verde, confusionaria e casereccia. 
Anche la piazza più grande li vicino, che di per se ha palme, jacarande e grevillee di tipo istituzionale, è punteggiata da nuovi impianti: lì una Opuntia cylindrica; poco più oltre un giovanissimo carrubo sostenuto da un’asta di profilato metallico utilizzata come tutore, più oltre ancora un piccolo Ficus rubiginosa che fra cinquant’anni, crescendo come sa fare lui, avrà fagocitato l’intera piazza. 
 
Ma fra tutte le piante di provenienza privata  quella che trovo più da “guerrilla green” è una pianta di Alocasia macrorizzhos , una specie asiatica dalle grandi foglie che ama l’acqua, utilizzata in Sicilia, nei giardini storici, insieme alla consimile Colocasia, per abbellire  vasche e fontane.
 
Nella Piazza del Borgo l’alocasia è stata messa a dimora in un posto meno nobile, a ridosso del muro esterno dei bagni pubblici, chiusi da tempo; la pianta in questione in questo luogo improbabile ha avuto, tuttavia, una crescita esuberante e felice.
Purtroppo, come spesso accade, la storia di questa pianta non è a lieto fine perché l' Alocasia macrorizzhos qualche giorno fa è stata presa a mazzate dal vandalo di turno: le belle foglie maciullate sono state sparse ai quattro venti ed il fusto carnoso è stato parzialmente divelto dal terreno.
Ero convinta, in questo Far West urbano, che nessuno ci avrebbe fatto caso ma invece ritornando oggi con il cane sul luogo del delitto ho visto i segni di un pietoso soccorso vegetale: fusto reinterrato, monconi di foglie ben recisi ed un anziano in polo a righe che dopo avere riempito una bottiglia alla fontana dava acqua ai poveri resti dell’ alocasia vandalizzata.
Ora che mi fermo a riflettere non so decidere cosa sia giusto e cosa sbagliato: essere grata al pensionato coltivatore che senza alcuna autorizzazione cerca di sostituirsi nella cura e nella manutenzione del verde a chi istituzionalmente ne ha la funzione o deprecarne l’azione che non fa che aumentare lo stato di totale disorganizzazione in cui versa la città ?



 

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