domenica 8 dicembre 2024

Verde verticale, una realizzazione fronte mare

 

Il verde verticale di cui vorrei parlare non è certo paragonabile alle installazioni (green walls) del famoso biologo-botanico francese Patrick Blanc le cui pareti vegetali, come quella del Musée du Quai Branly a Parigi, sono considerate meraviglie dell'architettura moderna per la geniale semplicità del suo metodo di coltivazione e per la complessità dell’ ecosistema vegetale, ricreato con oltre 15000 piante che Blanc è riuscito a fare colonizzare e crescere su di un muro lungo 200 metri ed alto 12. 

Le piante scelte e selezionate per le sue creazioni sono specie ruderali che vivono in natura su scampoli di roccia o fra le fessure della pietra o, in alcuni casi, sono specie epifite che crescono sugli alberi e non hanno bisogno di terreno per vivere; specie come felci, bromelie e orchidee, studiate e ricercate in tutto il mondo facendo della biodiversità il carattere distintivo delle sue creazioni.
Il muro vegetale che ho avuto modo di osservare si sviluppa, invece, su una più piccola scala, appoggiandosi alla facciata di una villa privata, ubicata fronte mare, lungo la Scogliera che da Catania porta al paese di Aci Castello. E’ questo un tratto di strada che faccio spesso e dunque dal suo primo apparire, circa quattro anni fa, sulla parete di una villa in ristrutturazione, ho tenuto questa installazione sotto osservazione per vederne  sviluppo ed evoluzione. La tecnica di impianto utilizzata non ha niente a che vedere con le green walls di Blanc che impiega come substrato sui cui fare crescere le piante, un sottile strato di feltro imbevuto di una soluzione idroponica, attaccato tramite un telaio metallico alla parete; a Catania invece, la coltivazione avviene su terriccio contenuto all’interno di sacche in tessuto, appese tramite un’intelaiatura alla parete della palazzina, con gocciolatoi posti all’interno delle tasche.

La stessa tecnica utilizzata, qualche anno fa, in un’altra realizzazione verticale a cura del comune di Catania in un importante snodo viario della città, al termine della via Etnea. 
Peccato che dopo un certo tempo la parete verticale è rinsecchita e non è più stata sostituita.
La palazzina in esame ha il verde verticale disposto ai lati di una grande vetrata che occupa la facciata laterale della costruzione; a conclusione dei lavori, appariva esteticamente ben congegnata sia per la scelta vegetale che per la buona biodiversità delle specie utilizzate: seguendo l’esempio di Blanc erano presenti felci in quantità, integrate dal verde glauco dei senecio, dei sedum presenti in specie e varietà, con l’ argento di artemisia e il rosso del fogliame dell’ althernanthera a fare da macchie di colore insieme a specie come pothos, chlorophytum , edere e geranei a foglia odorosa posti a trasbordare dalle tasche che costituiscono la struttura portante dell’impianto.
Non proprio piante epifite o ruderali ma a prima vista una buona soluzione perché tutte specie abituate al caldo e alla forte insolazione e per questo frequenti nei giardini o sui balconi siciliani; ma, avrebbero resistito alla salsedine e al vento spirante dal mare? Nonostante le buone premesse in poco tempo il verde è andato a diradarsi e a morire con gran rammarico dei proprietari che tuttavia, avendo a cuore il progetto iniziale, hanno perseverato facendo realizzare, nella primavera di quest’anno, un nuovo impianto. 
Nella scelta della componente vegetale si sono affidati, questa volta, ai consigli di Casimiro Tomarchio, vivaista e produttore di grande competenza nel campo delle succulente e delle specie resilienti, adatte al difficile ambiente mediterraneo. Ed è con lui che ne parlo per farmi raccontare i particolari di questa realizzazione: “Per una buona riuscita di un’istallazione a verde verticale, disposta a parete su di una facciata, bisogna considerare molte variabili progettuali sia a proposito dei materiali di impianto che nella scelta delle specie; il substrato utilizzato ad esempio deve essere molto leggero per non gravare, una volta bagnato, sulla struttura e di composizione e granulometria adatta alle specie prescelte; io ad esempio non mi sono fidato di un tipo specifico in commercio, ho realizzato una mia miscela adatta alla piante aromatiche e succulente che pensavo di utilizzare. Un altro problema tecnico non indifferente è la realizzazione di un impianto di irrigazione in grado distribuire l’acqua in modo differenziato. In genere infatti, le tasche superiori tendono a far sgrondare l’acqua in eccesso sulle tasche sottostanti così che si determina un forte divario tra la giusta acqua in alto e l’eccessiva abbondanza in basso; l’irrigazione deve essere poi, frequentemente accompagnata dalla distribuzione di concimi liquidi perché le piante che vivono in una ridotta quantità di substrato hanno elevate esigenze nutritive. Un altro problema tecnico frequente in queste situazioni è legato all’eccessivo calcare presente nell’acqua utilizzata per l’irrigazione che tappa con incrostazioni gli ugelli dei gocciolatoi; un gocciolatoio intasato fa grave danno perché lascia a secco la tasca decretando la morte delle piantine in essa collocate; per mantenere i gocciolatoi  puliti bisogna allora unire periodicamente all’acqua di irrigazione dei prodotti acidificanti come l’acido nitrico capace di sciogliere il calcare; d’altra parte la manutenzione manuale dei gocciolatoi è molto difficile e dispendiosa dovendo ogni volta che è necessario, montare una piattaforma elevatrice che porti l’operatore in alto per arrivare ad ispezionare i diversi punti dell’installazione. 
Per la scelta delle  piante mi sono indirizzato verso specie rustiche, coltivate in alveoli, che riescono ad attecchire anche in quantità minime di terreno, parlo di Plectranthus di 4 o 5 specie; muehlenbeckia, senecio, sedum che ho recuperato dalla precedente installazione, aeonium, tradescantia, hoya, aptenia, lobelia blu, lobularia bianca, portulacaria afra, delosperma “cooperi” e per dare colore in estate: portulaca, surfinie in varietà e dipladenia
Si può oggi constatare, rispetto alla prima installazione, che il verde si è mantenuto fitto nonostante ci sia stata un’estate torrida con piante che hanno mostrato di resistere al vento e alla salsedine. Rimane da vedere come verrà superato l’inverno ed il vero freddo dei mesi di gennaio-febbraio. Molto si è imparato dagli errori evidenziati nel precedente progetto ed i risultati sembrano dare ragione, al momento, alla perseveranza dei proprietari, cani permettendo:  sono stati  infatti loro a decretare la morte del verde di una parete verticale realizzata a decoro di un cortile interno, mordicchiandone parti dell'impianto di irrigazione.  Tra cani, siccità e salsedine fare verde verticale fronte mare è un' impresa che solo chi ha veramente voglia di fare può  tentare di realizzare.

martedì 1 ottobre 2024

Mimosa pudica, una pianta "affruntulina"

 

E’ poi dicono che le piante sono esseri inferiori perché non se ne vanno di qua e di la, non esprimono sentimenti, come fastidio o paura, non comunicano tra loro né con altri organismi viventi, non sono, insomma, organismi intelligenti; chi ama le piante lo sa che non è vero ma fortunatamente per i più scettici Stefano Mancuso ci ha ben spiegato, su basi scientifiche in uno dei suoi libri più conosciuti di qualche anno fa (Plant revolution), che questi preconcetti sono errati. Le piante si muovono, comunicano, reagiscono a stimoli e sono da considerare solo diversamente intelligenti rispetto a noi organismi animali.
E per avere un’immediata contezza delle capacità di movimento e di attenzione che le piante, con diversi meccanismi riescono ad attuare, basta in estate andare in un vivaio ben fornito ed acquistare un vasetto di Mimosa pudica,  meglio nota in Sicilia  con il nome di pianta “affruntulina “. Il termine è un vezzeggiativo per dire in siciliano di persona timida che si ritrae se si interagisce con lei e anche questa pianta lo fa perché al minimo tocco, con ritrosia chiude rapidamente le foglie; non per niente anche Linneo nel suo Species plantarum (1753) diede  alla pianta  l’attributo specifico di Mimosa pudica
 
Mimosa pudica, è  specie originaria del Brasile e cresce principalmente nel bioma tropicale umido; la specie è perenne, erbacea o sub-arbustiva eretta, molto ramificata e con rami semilegnosi, pelosetti e spinosi. Coltivata come annuale da seme non supera i cm 50 di altezza. Le foglie composte, dal picciolo rossastro, sono bipennate con numerosi segmenti ovali appaiati. L’intera foglia può essere lunga fino a cm 10 e larga circa cm 8 .

I fiori minuti, color rosa lavanda sono raggruppati in infiorescenze globose di cm 1,50 di diametro; frutti pelosi a legume divisi in articoli, riuniti in mazzetti e contenenti 3-5 semi lenticolari bruni; la specie non è resistente al gelo.
Mimosa pudica è una specie sensitiva alla stregua di un’altra specie consimile  chiamata Mimosa polycarpa var. spegazzinii che però è specie arbustiva e a durata pluriannuale.

Queste specie, dette sensitive,  hanno le foglie che reagiscono agli stimoli esterni, come urti, spostamenti, esposizione a reazioni chimiche o anche alternanza luce-buio chiudendosi rapidamente verso il basso, perdendo consistenza e turgore. Le piante assumono un aspetto derelitto da vere morticine. Al cessare dello stimolo però, dopo circa una ventina di minuti, le foglioline tornano ad aprirsi.  La principale ragione in natura di questo rapido movimento è la difesa dagli insetti fitofagi che arrivando sulla foglia, una volta che questa si chiude, non trovano appiglio e volano via.  Il meccanismo che consente la chiusura rapida delle foglie in seguito a stimolo non è stato ancora chiarito del tutto, in maniera molto semplificata tale movimento è dovuto alla presenza, alla base di ogni foglia, di un rigonfiamento chiamato pulvino costituito da cellule a pareti sottili il cui turgore può variare velocemente a seguito di uno stimolo che da origine ad un impulso elettrico trasmesso a tutta la foglia. 

La prima personalità scientifica che cominciò ad occuparsi dei movimenti della mimosa sensitiva fu Lamarck (1744-1829) ma anche altri dopo di lui si appassionarono allo studio di questo particolare comportamento, osservando che sottoponendo la pianta a stimoli ripetuti della stessa natura ( gli scossoni di una carrozza in giro per Parigi, ad esempio) ad un certo punto del percorso le foglie non si chiudevano più ignorando le stimolazioni (sobbalzi) già vissute. Si supponeva, allora, si trattasse di stanchezza della pianta ma in sperimentazioni svolte in epoca moderna, sottoponendo i vasi di mimosa ad una successione di stimoli diversi si è osservato come  la pianta, seppur stanca, reagiva prontamente alla novità chiudendo le foglie. Non di stanchezza si tratta perciò ma di memoria, di capacità di fare esperienza. Mancuso nel suo libro racconta come le piante di Mimosa pudica riescono a ricordare uno stesso stimolo per circa quaranta giorni prima di dimenticarlo.
Io ogni estate ne compro qualche piantina in vaso, la metto in una zona indisturbata del balcone ed evito di toccarla, osservandola a distanza. Lei, (le do del lei perché la considero un organismo senziente ed un poco troppo esigente per i miei gusti) , se c’è caldo chiude le foglie, se fa buio pure, se vuole acqua manco a dirlo. E’ un movimento continuo.

Vuole dedizione assoluta: questa estate l’ho lasciata un solo pomeriggio senza innaffiatura (con temperature però abbondantemente sopra i 30 gradi) e la pianta si è immediatamente disidratata. “Che faccio, la butto? No, aspetto” ed infatti dopo dieci giorni vedo comparire nuove piccole foglioline che in breve hanno di nuovo riempito il vaso. 

La mimosa "affruntulina" è un must nel mio balcone, non può mancare; il suo pudore vegetale mi fa da buon antidoto alla sfrontatezza e volgarità generale.  

lunedì 23 settembre 2024

Il verde verticale delle sorelle Curcuruto

 

Le sorelle Curcuruto le conosco di nome avendole applaudite come vincitrici al concorso “Il Balcone fiorito” organizzato dal comune di Taormina, nell'estate di cinque anni fa. I loro balconi sono un mito per gli appassionati del verde in vaso che, come me, si barcamenano tra contenitori più o meno fioriti negli assolati balconi che si affacciano al caldo sole del mare siciliano; un esempio encomiabile di come il verde verticale in un balcone familiare si può fare con risultati invidiabili anche in Sicilia.

I balconi fioriti in questione si trovano a Mazzeo, una frazione a mare di Taormina, limitrofa al comune di Letojanni, ricoprendo i tre piani di una palazzina abitata dalle famiglie delle signore Pancrazia e Pina Curcuruto.
Balconi dove il verde dei Sedum morganianum e di altre succulente scende a cascata dalle ringhiere, intervallato da vasi con grandi esemplari di Agave attenuata, plumeria, esemplari di Euphorbia candelabrum, Euphorbia neerifolia, yucca, Opunzia ficus indica, bougainville, strelitzia che sbucano dalle ringhiere puntando in alto; sulla piazzetta antistante la casa, per contornare e riparare una finestra, trovano inoltre posto grandi vasi di Cycas revoluta, Ficus elastica, schefflera, Philodendrum selloum. Uno schema semplice di piante ricadenti e piante dal bel fogliame che guardano in su, che si ripete più e più volte,  realizzato utilizzando piante rustiche, collaudate per il clima siciliano marino, molte delle quali riprodotte da talee di piante facili da coltivare perché divenute nel tempo resilienti al clima siciliano in via di progressiva desertificazione.

A questa struttura verde si aggiungono poi, le fioriture estive annuali: petunie, surfinie, catharanthus che sono una festa di colore che riempie e mimetizza la vista dell’intero stabile e siccome le sorelle hanno un elevato senso artistico, alle piante si aggiungono grandi tondi in ceramica, appesi alle pareti della facciata,  a soggetto tradizionale come la Trinacria o le classiche teste di moro (insieme a qualche nanetto seminascosto su un davanzale).
I balconi della palazzina di Mazzeo sono la splendida esemplificazione di come sia possibile fare  giardinaggio con piante in vaso ottenendo risultati esteticamente interessanti pur partendo da specie comuni a condizione però di sobbarcarsi un enorme lavoro di mantenimento ed un notevole costo in termini di acquisti  e di manutenzione. Alla fine la passione delle sorelle è ripagata dalle alte vette di gradimento dei tanti turisti che le vanno a trovare e dalle tante foto dei loro balconi fioriti pubblicate sul web che ricevono un sacco di like e di condivisioni.
Sono stata a Mazzeo un sabato di questo fine settembre curiosa di sapere se il verde verticale delle sorelle Curcuruto avesse subito, in questa caldissima estate, la stessa sorte delle piante in vaso del mio balcone disgraziato e rinsecchito. A prima vista il verde, rispetto al mio,  appare lussureggiante ma a ben guardare manca di colore, per l’assenza pressoché totale delle fioriture. Il caldo quest'anno in Sicilia non ha risparmiato proprio nessuno. 

Con la scusa di chiedere il nome di una pianta che ho adocchiato al secondo piano ho modo di incontrare la signora Pina che con grande disponibilità e gentilezza mi dice due parole sulla sua passione per le piante ereditata dai genitori e condivisa con la sorella Pancrazia.
“Io e mia sorella abitiamo in questa casa da sempre essendo la casa dei miei genitori; abbiamo però cominciato a coltivare la nostra passione per le piante, ereditata da mia madre, a partire dal 1986 quando abbiamo ristrutturato lo stabile. Da allora abbiamo fatto quasi a gara tra noi per ricoprire i rispettivi piani di piante; negli anni abbiamo aggiunto alle pareti una collezione di ceramiche di Giarre, abbiamo abbellito il portone d’ingresso e recentemente anche la cassetta delle lettere decorando tutto all’insegna della nostra passione per le piante ed i fiori. 

Non mi chieda però il nome botanico delle piante dei miei  balconi perché non siamo esperte in questo senso; ci limitiamo a coltivare le piante che conosciamo e che negli anni ci hanno dimostrato di sapersi adattare. Gestire questi tre piani di verde verticale è un vero e proprio lavoro che impone ogni giorno la routine di dare acqua alle piante, togliere il secco, eliminare possibili parassiti; con mia sorella in caso di necessità ci alterniamo ma in realtà non abbiamo neanche tanta voglia di uscire perché stare sui nostri balconi è per noi il massimo del relax. Le nostre piante questa estate hanno sofferto molto il caldo e la forte insolazione; alcune poi, come i  sedum  che hanno oramai quasi quarant’anni. andrebbero rinnovate ma non mi fido di toccarne il vaso, si combinerebbe un disastro. Anche le euforbie o gli altri esemplari più grandi avrebbero bisogno di rinvasature ma cambiando i vasi avrei paura di appesantire troppo il ballatoio, perciò continuiamo a procrastinare questa necessità”
Agli angoli della piazza Giuseppe Mazzini,  anche le altre palazzine cominciano a prendere colore sia come facciata sia come vasi di sedum da far pendere giù, chiedo perciò alla signora Pina se vi abitino altri parenti che vogliono emulare il balcone di famiglia ma lei fa spallucce e dice che no, non sono parenti  ma se qualcun altro si vuole cimentare lei ne è contenta; si capisce però, dalla sua espressione che non c'è gioco, impossibile paragonare i maldestri tentativi dei suoi vicini ai balconi in fiore delle sorelle Curcuruto, i più graditi sul web.


martedì 27 agosto 2024

Vento e acqua, un giardino di Paolo Pejrone

Immagine tratta dal libro di A. Perazzi, Vento e Acqua, un giardino di Paolo Pejrone per Radicepura

A più di un anno dalla sua installazione sono tornata a rivedere, al parco botanico di Radicepura, il giardino Vento ed acqua, tentativi di resilienza di Paolo Pejrone installato in occasione della quarta edizione della Biennale del Giardino Mediterraneo che si è svolta a Radicepura nel 2023,  sotto la direzione artistica di Antonio Perazzi. 

Radicepura per chi non lo sapesse è un grande parco botanico, a pochi chilometri da Taormina con vista sull’Etna e a ridosso del mare di Riposto, realizzato dalla famiglia Faro, proprietaria dei Grandi Vivai Faro, che ospita collezioni di piante esotiche e mediterranee e dove viene organizzata ogni due anni una Biennale del Paesaggio Mediterraneo. In occasione della manifestazione, nel parco che è esteso più di cinque ettari, vengono realizzati, utilizzando il vasto assortimento varietale dei Grandi Vivai Faro, i progetti di giovani paesaggisti che risultano, ad ogni edizione, vincitori del concorso internazionale di idee (Il Giardino delle Piante è stato il tema conduttore dell’ultima edizione). 
Radicepura è perciò non solo un grande parco botanico che ospita collezione di piante rare, insieme ad installazioni artistiche di autori contemporanei, ma è un luogo polifunzionale, sede di eventi la cui offerta al pubblico di appassionati si arricchisce ogni anno di nuove proposte come recentemente con Omaggio alla Kolymbethra, campo catalogo di varietà di agrumi o dalla prossima primavera, con una serra tropicale adibita a Casa delle farfalle; inoltre ogni due anni il Parco rinnova la collezione di giardini selezionati dalla Biennale che si aggiungono alle installazioni stabili realizzate al Festival da paesaggisti di fama internazionale come Andy Sturgeon (Layers) James Basson (Alfeo ed Aretusa) , Antonio Perazzi (Home ground), Francois Abelanét (Anamorphòse), Michel Péna (Tour d’y voir). Nell’edizione dello scorso anno la guest star chiamata da Perazzi a dare il suo contributo al Festival è stata Paolo Pejrone, architetto paesaggista piemontese, progettista da oltre cinquant’anni di tanti giardini in Italia ed Europa, autore di innumerevoli libri e saggi sul tema del giardino, che ha progettato e realizzato come Senior Design un’installazione dal titolo Area ed acqua, tentativi di resilienza.
Il giardino, disposto in un’area pianeggiante, un poco defilata nel parco, protetta sul versante che guarda il mare da un lungo filare di palme, ha una forma quadrata ed è chiuso da alti muri dipinti a calce che presentano aperture al centro di ogni lato per accedere al suo interno; qui lo spazio è occupato da basse vasche divise in settori, alcune con terra, altre con acqua , simili esteticamente a vecchie cisterne o ad abbeveratoi, poste simmetriche agli spigoli ed al centro del giardino.
Per le vasche di terra Pejrone ha scelto soprattutto piante da foglia: alcuni grandi platani, fitte macchie di Tetrapanax dalle grandi foglie, aralie, felci arboree, canne a foglia variegata, qualche rampicante come passiflora, jasminum e bignonia rosa.
Nelle vasche d’acqua invece sono state inserite specie utili come: menta acquatica, Iris pseudacorus , Nymphaea alba e papiri in grado di purificare l'acqua che le attraversa. 
Su un lato del giardino svetta una torretta che sorregge un’elica a vento. L’idea progettuale è semplice e potrebbe essere di ispirazione per giardini da realizzare in una terra assetata e riarsa come la Sicilia odierna.
L’acqua, raccolta in una vasca, viene sollevata da una pompa azionata dalle eliche della ventola e senza alcun dispendio energetico viene inviata ad irrigare le vasche del giardino che accolgono le piante da foglia; l’acqua percolando da qui viene convogliata alle vasche con le piante acquatiche dove papiri, ninfee e iris la filtrano e la purificano inviandola poi alla vasca centrale dove arriva chiara e tersa e rimessa in circolo. Un ecosistema artificiale autosufficiente che rende omaggio e si ispira ad ambienti naturali presenti in Sicilia come le Fonti e la Foce del fiume Ciane  che a causa dell’uomo e dei cambiamenti climatici sono divenuti fragili ed instabili.
Fonte e Foce del fiume Ciane
Quando ho chiesto a Martina, factotum della Fondazione Radicepura, di potere visitare il giardino di Pejrone al Parco botanico, in una giornata torrida di fine agosto di un’annata mai così siccitosa per la Sicilia, tale da decretare, ad esempio, la scomparsa di un lago mitologico come il Lago di Pergusa, ne sono stata amichevolmente sconsigliata: "No, dai, non ci andare; il parco al momento è chiuso al pubblico e bisognerà fare lavori di manutenzione e ripulitura del verde prima di riaprire".
Ma io il giardino lo volevo rivedere; all’apertura della Biennale l’anno scorso, l’installazione non aveva ancora un suo perché; si vedeva solo il muro e le piante non si erano ancora ben relazionate tra loro. Dovevo constatare di persona cosa fosse diventato il giardino. Percorro il lungo viale di acceso al parco e davanti l’installazione mi ritrovo in un’oasi di verde esuberante che trabocca dai muri esterni del giardino con piante di Jasminum grandiflorum che profumano l’aria e grandi foglie di Tetrapanax che svettano insieme alle canne variegate cresciute in un anno di molti metri; il luogo mi invita ad entrare esprimendo un senso di benessere e frescura che con questo caldo ritenevo impossibile.
All’interno vengo circondata dal verde in mille tonalità di foglia con pochi sprazzi del rosso vivo della passiflora che con andamento lianoso spunta a festoni tra la vegetazione.
La mancanza di manutenzione e di ripulitura del secco e del morto non mi appare affatto un difetto del giardino; l’associazione vegetale sembra naturale e ben armonizzata pur provenendo da un assemblato vegetale studiato a tavolino utilizzando piante di produzione vivaistica; le enormi foglie del tetrapanax, le lunghe fronde della felce arborea sono testimoni di una crescita eccezionale di un giardino che sta bene e si sa autoregolare, un campione ben riuscito di giardino resiliente da cui prendere spunto per la progettazione degli spazi verdi per le future, e ritengo purtroppo durature, emergenze climatiche isolane.
Mentre sono dentro ripenso alla presentazione del giardino che Antonio Perazzi ha scritto su un libercolo edito da Radicepura dal nome : Vento e Acqua, un giardino di Paolo Pejrone per Radicepura, dove si racconta di Paolo, del suo modo di lavorare , del suo essere giardiniere, del modo in cui ha pensato il giardino e con che motivazione lo abbia realizzato; suggestionata dal suo racconto tendo l’orecchio per ascoltare se oltre al fruscio del vento che fa correre veloce l’elica in cima alla torretta, riuscirò a sentire il gracidare delle rane; Pejrone, infatti, che sotto le vesti di un Senior design nasconde ancora i desideri ed i ricordi di un fanciullino avrebbe voluto che i Faro inserissero nelle vasche d’acqua uova di rane siciliane che avrebbero reso il giardino molto vicino ad un suo felice ricordo d’infanzia; di rane, in agosto non ve n'è traccia ed allora i casi sono due o i Faro che non le hanno volute o potute  trovare o le rane per il troppo caldo, se ne sono andate in un posto fresco a gracidare.


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